850 anni della Chiesa valdese, una comunità in cammino con il cuore tra le Alpi
Le Valli valdesi del Piemonte sono il risultato dell’abbraccio fra storia e geografia. È una cultura complessa, che sta sempre sulla frontiera di qualcosa. Ogni anno, la notte tra il 16 e il 17 febbraio, si accendono i fuochi della libertà, ben visibili di valle in valle. Quest’anno i falò bruciano con un’intensità diversa. Tengono accesa la scintilla dei diritti civili con la forza di un anniversario che porta con sé una storia secolare: nel 2024 si celebrano gli 850 anni del movimento fondato nel 1174 da Valdo di Lione
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Il buio illuminato dal riverbero di fuochi accesi. Accade ogni anno, la notte tra il 16 e il 17 febbraio, nelle Valli Pellice, Chisone e Germanasca. Una festa che si rinnova dal 1848, l’anno in cui re Carlo Alberto firmò le Lettere Patenti con cui si ammettevano i sudditi di fede valdese "a godere di tutti i diritti civili e politici, a frequentare le scuole dentro e fuori delle Università, ed a conseguire i gradi accademici". Siamo in Piemonte, nelle terre in cui le comunità valdesi sono sopravvissute per secoli alle persecuzioni: poco più di 170 anni fa quei fuochi davano la notizia, visibile di valle in valle, che l’uguaglianza e la libertà erano state finalmente raggiunte.
Quest’anno i falò bruciano con un’intensità diversa. Scaldano le nuove lotte di libertà e uguaglianza, tengono accesa la scintilla dei diritti civili con la forza di un anniversario che porta con sé una storia secolare. Nel 2024 si celebrano gli 850 anni del movimento fondato nel 1174 da Valdo di Lione, ricco commerciante di tessuti protagonista di una crisi spirituale e di una conversione che avrebbe dato vita alla Chiesa che porta il suo nome. Alcuni anni prima di Francesco d'Assisi, Pietro Valdo sostenne la necessità della povertà della chiesa e la sua separazione dal potere politico, il rinnovamento spirituale del cristianesimo mediante l'accesso diretto alla Scrittura e una libera predicazione del Vangelo. Divenuta Chiesa evangelica valdese all'epoca della Riforma protestante del sedicesimo secolo, ha continuato e continua a sostenere i principi ispiratori delle origini.
"Il 1174 è una data convenzionale che la Chiesa valdese si è data cinquant’anni fa, anche se le fonti collocano la conversione di Pietro Valdo in un arco temporale tra il ‘73 e il ‘75", spiega il pastore Eugenio Bernardini, coordinatore della Commissione per gli 850 anni del movimento valdese. Perché oggi è importante ricordare la storia di questa comunità? "Vi sono principalmente due ragioni - continua Bernardini, già moderatore della Tavola valdese -: la prima è religiosa e nasce dal bisogno impellente di rinnovamento spirituale del cristianesimo in Occidente. È un tema non soltanto ricorrente, ma di grande attualità: le origini del movimento valdese hanno considerato vitale il rinnovamento, ripercorrerle significa andare alla fonte, riscoprire il messaggio evangelico". La seconda motivazione è laica: "Se un tempo si pensava che le libertà si stessero espandendo, oggi si restringono in nome di ideologie estreme sia in campo politico sia in campo religioso. I valdesi continuano a invocare la libertà di religione che è all’origine della libertà della coscienza". Ecco perché il 17 febbraio è di tutti: "È una festa civile perché ricorda che per la prima volta nella storia italiana un gruppo di sudditi che non aveva diritti se li è visti riconoscere".
La Chiesa valdese è viva in tutta Italia e non solo: le comunità in Francia, Germania, Svizzera, persino Sud America, sono molteplici, ma c’è un nucleo resistente, sulle montagne delle Alpi Cozie che, lungi dall’essere baluardo o fortezza, hanno saputo esprimersi come luogo di comunicazione e scambio. "Le Alpi sono un confine che è stato percorso per la vita civile come per il commercio. Luogo di transito e di relazioni intense, le vie alte erano più rapide e più accessibili perché ci si saliva a piedi, mentre le vie basse erano quelle degli eserciti. E poi le idee: ogni volta che un forestiero si recava in un posto portava scoperte, tecnologia e saperi, oltre naturalmente alla religione che è stata la cultura per tanti secoli". Per i valdesi le montagne sono state sì protezione, ma soprattutto grande opportunità di comunicazione con culture e lingue francofone e di altri paesi. Una minoranza che, grazie alle idee in viaggio su per i valichi di montagna, condivide lingue, culture, teologie, cambiamenti. "Non è un caso se le Valli cosiddette valdesi sono ancora oggi estremamente aperte all’Europa".
A indagare sul legame profondo che si è stabilito fra la Chiesa valdese e le sue Valli è Bruna Peyrot, presidente della Fondazione Centro culturale valdese di Torre Pellice. Sul tema ha pubblicato il libro “Essere terra - Le Valli valdesi tra storia, teologia, politica e cultura”. "Credo che questo percorso abbia avuto uno snodo fondamentale nell’adesione alla Chiesa protestante - spiega -: in due generazioni i valdesi passarono da movimento a istituzione e si legarono a una terra che già prima abitavano ma che divenne importante per la loro stanzialità". Nel volume, la storica e saggista spiega come questo connubio tra natura e fede abbia dato luogo a una cultura particolare: "Le Valli valdesi del Piemonte sono il risultato dell’abbraccio fra storia e geografia. Storia perché sede della minoranza eretica valdese, e geografia perché la conformazione montana del paesaggio ha permesso una strenua difesa della sua autonomia. La cultura delle Valli è complessa […]. Non è una cultura periferica né provinciale perché è transalpina. Non è locale perché, essendo al confine con un altro stato, è plurilingue. È una cultura che sta sempre sulla frontiera di qualcosa".
Secondo Peyrot, questo mélange fra natura e istituzione religiosa ha dato luogo a un sistema culturale che è ancora presente nella necessità di mantenere alta la scolarizzazione e nell’interesse per la storia. Lo dimostra il fiorire di eventi, convegni, studi e nuove pubblicazioni cucito attorno alle celebrazioni per gli 850 anni della Chiesa valdese. Il sito valdo850.org se ne fa collettore e guida ragionata e aggiornata. "È importante oggi narrare questa storia in un modo nuovo, ad esempio attraverso trekking culturali e itinerari che diano voce alla natura e alle gesta che lì sono passate. Penso a iniziative come il percorso a tappe del Glorioso Rimpatrio che attraversa le strade dei valdesi tra Italia, Francia e Svizzera. È questa la direzione da seguire per una rivalutazione dei luoghi, che tenga conto delle dinamiche che li hanno portati a essere quello che sono. Per una nuova vita in montagna che non sia soltanto legata alle piste da sci e al turismo invernale ma che recuperi la civiltà e la memoria di chi la abita". Una montagna che ha tentato di mantenere vivo il proprio spirito critico e non ha avuto paura di non omologarsi dal punto di vista culturale: "Le Valli sono sulla frontiera di molte cose - scrive Peyrot -: delle Alpi, di incontri fra europei, di migranti di ieri e di oggi, di dialoghi, a volte difficili, fra indigeni e turisti, di rappresentazioni ideali e reali ed è proprio dentro questi nodi che si rinnova la loro specificità".